Ai margini di una "manifestazione"
di G. D'Andrea
Ai margini di una manifestazione, ho visto i miei studenti organizzarsi, organizzare e discutere!
- Dico ai
margini, perché mi sono limitato a guardare per rispettare la loro autonomia di scelta e, detto per inciso, anche perché oggi è pericoloso, per un docente, esprimere le proprie opinioni sull'andamento della realtà sociale (non oso unirvi la parola "politica"!): si rischia di finire nel libro nero - più precisamente nel "telefono nero"! (Infatti la parola d'ordine che ormai circola è: i docenti si limitino a fare i docenti, un po' come quando si dice: i cristiani si limitino a fare i cristiani; frasi "fatte" che evidenziano l'ignoranza e la presunzione di chi le pronuncia: ignoranza perché palesemente ignora cosa significa essere "docente" o essere "cristiano", e presunzione, perché su tale ignoranza innalza il suo trono di "moralizzatore".)- E dico i
miei, non in senso paternalistico (gli studenti sanno che è l'atteggiamento da cui più rifuggo!), ma perché c'erano anche i miei, quelli dell'ultimo hanno, ed ho sentito un senso di apprensione nel vederli lasciare il rassicurante ambiente dell'aula per affrontare una situazione nuova senza poter contare sull'apporto dei loro docenti. Invece l'hanno gestita in maniera disinibita, forse semplicistica, forse alquanto disinformata, ma non impacciata, e con la tenacia e l'orgoglio impetuoso - alcuni dicono "ingenuo" - dei giovani che vogliono costruire e gestire se stessi e il proprio futuro.
Ho letto, con dispiacere, sul loro viso la delusione per il mancato "pienone" della Sala del Trono: aspettavano una maggiore presenza degli adulti, molti dei quali, forse, erano troppo impegnati per ascoltare i giovani; e volevano una maggiore presenza di studenti, molti dei quali, purtroppo, ancora utilizzano la democrazia (assemblee, autogestioni, ecc.) come facile mezzo per procurarsi una vacanza.
Anche ciò, tuttavia, è stata una lezione di vita: una realtà strutturata non si modifica con una sola manifestazione. Ma devono essere onestamente soddisfatti, perché la presenza di menti pensanti, sia fra gli adulti che fra gli studenti, ha qualificato la loro iniziativa.
Ho assistito, anche, con tristezza, all'atteggiamento di alcuni "adulti" che, maestri della dialettica, hanno cercato di colmare gli inevitabili vuoti della informazione giovanile con quella che definirei eccessiva faziosità. Ma ciò non mi preoccupa eccessivamente, perché, in aula, potrò ribadire le linee guida a loro già note: che un giudizio di verità esige una precedente approfondita conoscenza della realtà; che nessuno può arrogarsi il diritto di possedere la verità in modo esaustivo; e citerò K. Popper che parla dello scalatore e della cima sempre avvolta nelle nuvole, e ….sapranno ascoltare, come sempre, e, come sempre, sapranno riflettere.
Non è questo, comunque, il punto, cioè non è la positività o la negatività e nemmeno la "riuscita" o meno della manifestazione che intendo sottolineare, ma il fatto di
aver visto i giovani - questi giovani "senza idee", "senza valori", e con tanti altri "senza" che loro affibbiamo - dare lezione di iniziativa e di organizzazione a molti adulti che sono orgogliosamente privi di "senza"!21/12/01 - [Per la cronaca vedi alcuni articoli ]
Caro "platonico" Marsus
By Dan
L'irriverente Dan si china di fronte alla somma sapienza di Marsus, ma gli fa notare che già il nostro beneamato Dirigente ci ha invitati a una riflessione similare (una citazione del prof. Zaninelli recita, ad esempio, che la scuola "..dovrà rimanere essa stessa un luogo anche educativo, nel quale sia possibile l’incontro con maestri che, mentre trasmettono competenze, documentano una attenzione globale alla persona ed alle sue esigenze costitutive.") [
vedi "Trasmettere competenze e valori",]Marsus. quindi, non dice molto di più di quanto si continua a ripetere sull'aspetto pedagogico ("missionario", dicono alcuni maligni!) che caratterizza la nostra professione; egli, però, dimentica che, quando si "colloquia" con i genitori, la fatidica domanda: Come va mio figlio?,
spesso - Ahi, troppo spesso! - non è tesa a sapere se cresce armonico, se è sereno, se è "inserito" nella classe, se ha dei valori positivi, se sviluppa un'autonomia di pensiero; e se tu cerchi di fare un discorso su tali aspetti, tagliano corto e vanno subito al sodo: Che voti ha? ; il resto è… omaggio!Caro Marsus, amico e sognatore carissimo, scendi dall'Iperuranio platonico "..e nei campi di granturco vienimi a trovare"!
11 settembre
Le testimonianze di due intellettuali
Non si dimentica facilmente la data dell’11 settembre, perché la si considera come la più infausta della storia di tutti i tempi, a causa dell’ attentato terroristico alle Twin Towers e al Pentagono che ha seminato morti e distruzione, tale attentato va ricordato, non solo per il numero dei morti appartenenti all’Umanità intera che, senza forse, non conosceremo mai, paragonabile solo ad un bombardamento aereo di una intera città, ma per aver colpito una collettività inerme, senza che abbia avuto la possibilità di difendersi in alcun modo, quindi un atto di ignobile vigliaccheria. In quella data due nostri connazionali, una scrittrice (Oriana Fallaci) ed un poeta (Joseph Tusiani), testimoni oculari dell’orribile tragedia, così la descrivono:
Oriana Fallaci
nel testo " La rabbia e l’orgoglio" scrive: "…Ero a casa, la mia casa è nel centro di Manhattan, e alle nove in punto ho avuto la sensazione d’un pericolo che forse non mi avrebbe toccato ma che certo mi riguardava. La sensazione che si prova alla guerra, anzi in combattimento, quando con ogni poro della tua pelle senti la pallottola o il razzo che arriva, e rizzi gli orecchi e gridi a chi ti sta accanto: "Down! Get down! Giù! Buttati giù!". L’ho respinta. Non ero mica in Vietnam, non ero mica in una delle tante fottutissime guerre che sin dalla Seconda Guerra Mondiale hanno seviziato la mia vita! Ero a New York , perbacco, in un meraviglioso mattino di settembre, anno 2001. Ma la sensazione ha continuato a possedermi, inspiegabile, e allora ho fatto ciò che al mattino non faccio mai. Ho acceso la Tv. Bè, l’audio non funzionava. Lo schermo, sì. E su ogni canale, qui di canali ve ne sono quasi cento, vedevi una torre del World Trade Center che bruciava come un gigantesco fiammifero. Un corto circuito? Un piccolo aereo sbandato? Oppure un atto di terrorismo mirato? Quasi paralizzata son rimasta a fissarla e mentre la fissavo, mentre mi ponevo quelle tre domande, sullo schermo è apparso un aereo. Bianco, grosso. Un aereo di linea. Volava bassissimo. Volando bassissimo si dirigeva verso la seconda torre come un bombardiere che punta sull’obiettivo, si getta sull’obiettivo. Sicchè ho capito. Ho capito anche perché nello stesso momento l’audio è tornato e ha trasmesso un coro di urla selvagge. Ripetute, selvagge. " God! Oh, God! Oh, God God God! Gooooooood! Dio! Oddio! Oddio! Dio, Dio, Diooooooo!" e l’aereo s’è infilato nella seconda torre come un coltello che si infila dentro un panetto di burro. Erano le 9 e un quarto ora. E non chiedermi che cosa ho provato durante quei quindici minuti. Non lo so, non lo ricordo. Ero un pezzo di ghiaccio . anche il mio cervello era ghiaccio. Non ricordo nemmeno se certe cose le ho viste sulla prima torre o sulla seconda. La gente che per non morire bruciata viva si buttava dalle finestre degli ottantesimi o novantesimi piani, ad esempio. Rompevano i vetri delle finestre, le scavalcavano, si buttavano giù come ci si butta da un aereo avendo addosso il paracadute, venivano giù così lentamente. Agitando le gambe e le braccia, nuotando nell’aria. Sì, sembravano nuotare nell’aria. E non arrivavano mai. Verso i trentesimi piani, però, acceleravano. Si mettevano a gesticolar disperati, suppongo pentiti, quasi gridassero help-aiuto-help. E magari lo gridavano davvero. Infine cadevano a sasso e paf! Sai, io credevo d’aver visto tutto alle guerre. Dalle guerre mi ritenevo vaccinata, e in sostanza lo sono. Niente mi sorprende più. Neanche quando mi arrabbio, neanche quando mi sdegno. Però alle guerre io ho sempre visto la gente che muore ammazzata. Non l’ho mai vista la gente che muore ammazzandosi cioè buttandosi senza paracadute dalle finestre di un ottantesimo o novantesimo o centesimo piano. Alle guerre, inoltre, ho sempre visto roba che scoppia. Che esplode a ventaglio. E ho sempre udito un gran fracasso. Quelle due torri, invece, non sono esplose. La prima è implosa, ha inghiottito se stessa. La seconda s’è fusa, s’è sciolta. Per il calore s’è sciolta proprio come un panetto di burro messo sul fuoco. E tutto è avvenuto, o m’è parso in un silenzio di tomba…."Joseph Tusiani
in due liriche esprime il suo sentimento di religiosa costernazione per quanto la vigliaccheria umana ha commesso nei confronti dell’Umanità:
11 Settembre 2001 Era un giorno comune, un giorno ordinario Joseph Tusiani (Traduzione dall’inglese di Angelo Di Summa)
|
LE TORRI GEMELLE Ahi, Torri Gemelle, ieri simbolo del nostro successo 25 Ottobre 2001 - Joseph Tusiani (Traduzione dal latino di Raffaele Cera) |
09/01/02
[Sull'argomento vedi anche Transcript of Usama Bin Laden video tape e Il prezzo della libertà e Terrorismo batteriologico.... e Equazioni fin troppo scontate ]
[Su J. Tusiani vedi Un "sigarillo" con Tusiani - Note biografiche - J. Tusiani, La figura e l'opera - l'articolo EMIGRANTI Le voci della nostalgia]
"Sognare è gratis, ma realizzare un sogno costa molto!"
by Marsus
Dan sa benissimo che io
sono nei "campi di granturco", se per essi intende la vita fra gli studenti, da lui malamente definiti "granturco" (già! perché pochi lettori avranno capito la citazione dal noto Spiritual!)(*)Ma parliamo del "platonico Marsus" o del "sognatore" ( che, in fondo, è il significato che Dan vuol dare al termine).
Un giorno, uno studente mi ha chiesto perché "ho fatto il prof" ed ha avuto inizio un mio lungo monologo (Senectus est natura loquacior!) che ha ripercorso la lunga strada della mia vita.
Non so quale sia stata l'attenzione dello studente: mi dispiace confessarlo, ma ero troppo immerso nel caleidoscopio dei miei ricordi per osservare i suoi occhi e capirne le reazioni!
Però so di aver iniziato col dire che tutto s'è originato da un sogno, sogno arricchitosi di nuove dimensioni durante il Liceo, soprattutto quando ci fu l'incontro con una riflessione - conservata nel "ritualistico" diario - di M. Henry Brooks Adams: Un insegnante agisce per l'eternità; egli non può sapere dove si arresterà la sua influenza.
La lunghezza del monologo avrà assopito il malcapitato studente, ma non gli ha impedito di rivolgermi, al termine, quello sguardo inconfondibile di compatimento che, di solito, si rivolge ai "sognatori"!
Lo capisco! Non è facile, nella nostra mentalità pragmatica, concepire la potenzialità di un pensiero proiettato nel futuro, soprattutto quando venga completamente disancorato dalle "realistiche" e rassicuranti strutture del presente.
Per "sognare", infatti, noi intediamo, generalmente, il sognare dormendo e il sognare ad occhi aperti, due accezioni frequenti nel nostro modo di pensare ("Il Sogno? Roba per gente che non ha niente di meglio da fare ... non ha i problemi che ho io... roba da viziati, ricconi, o artisti pazzi!", dice il comune buonsenso).
Il "sogno", invece, deve essere inteso come mezzo di progettazione: è lo strumento con cui possiamo