ROMA - "Quello che in questi giorni sta accadendo
nelle periferie di Parigi è per me un déjà vu di quello che è accaduto negli
Stati Uniti, negli anni '60. Da allora sicuramente una maggiore integrazione da
noi c'è stata, ma non abbiamo fatto abbastanza e non l'abbiamo fatto abbastanza
velocemente. E questo ha segnato la fine del sogno americano". Jeremy
Rifkin, economista e fondatore della Foundation on Economic Trends di Washington,
nella lezione magistrale tenuta nell'Aula Magna dell'Ateneo capitolino di Roma
Tre, ha lanciato un appello a favore dei giovani immigrati parigini che da
giorni hanno dato vita alla 'rivolta delle banlieue'. Dare ascolto alle loro
istanze, ha sottolineato, significa fare un importante passo avanti verso una
società più giusta non solo in Francia o in Europa.
Le richieste degli immigrati francesi, ha sottolineato Rifkin, sono giuste
quanto lo erano quelle degli afroamericani negli anni '60. "All'epoca
Martin Luther King disse 'Io ho un sogno, che i bambini neri un giorno possano
avere le stesse opportunità dei bianchi'. E invece, è arrivata l'economia
reganiana, si è detto 'lasciamo fare al mercato', con il risultato di dividere
la società in un'elite sempre più ricca e milioni di poveri. Oggi il tasso di
disoccupazione degli afroamericani è doppio rispetto a quello dei bianchi, le
carcere sono piene di giovani neri".
Ma in Francia, ha esortato Rifkin, le cose possono e devono andare diversamente:
"Questi giovani figli di immigrati dicono 'noi siamo cittadini francesi, e
quindi vogliamo godere degli stessi diritti degli altri". E questa è già
una buona notizia, perchè vuol dire che si sentono francesi, quindi un passo
verso la loro integrazione è già stato compiuto. E l'integrazione è proprio
quello che loro vogliono. Noi con gli afroamericani abbiamo fallito, è colpa
nostra. Ma quello che sta avvenendo in Francia in questi giorni è un top test
per l'Europa: il futuro dell'Unione Europea passa anche attraverso
l'integrazione degli immigrati".
Un
test importante che l'Europa ha tutte le carte in regola per superare, assicura
Rifkin, che davanti agli studenti dell'ateneo romano si è lanciato ancora una
volta in una descrizione appassionata di tutte le ragioni che fanno del
"sogno europeo" il progetto umano e sociale al quale aderire, e di
tutte le ragioni che fanno invece del tanto agognato "sogno
americano" un fallimento.
"Sono cresciuto con il sogno americano", ha esordito Rifkin,
ricordando come i suoi genitori appartenessero alla 'working class' e come
questo sogno avesse una base molto semplice: l'America è il Paese delle grandi
opportunità, nel quale chiunque sia abbastanza in gamba può aspirare al
successo. Un assioma decisamente individualista: il simbolo, ha scherzato,
potrebbe essere John Wayne, il cavaliere solitario che lotta contro tutto e
contro tutti per affermarsi.
Ma come si fa ad essere John Wayne in un mondo globalizzato, nel quale tutto
quello che si fa incide su tutti gli altri? In un mondo senza barriere, nel
mondo delle grandi reti di comunicazione, è il modello europeo ad essere
vincente, ha ribadito Rifkin, perché è un modello collettivo, e perchè è un
modello dove l'uomo, i suoi diritti, sono centrali. "Quando scrissi 'A European
Dream' i miei amici europei si stupirono molto - ha ricordato Rifkin - ma il
modello europeo, che mette al centro la qualità della vita, e la fa dipendere
soprattutto dall'affermazione dei diritti sociali, e dalle buone relazioni con
il resto della collettività, è il modello giusto. Ogni volta che noi diciamo
'crescita' intendiamo ricchezza. Anche gli europei parlano di crescita, ma
intendono dire 'sviluppo sostenibile'. Certo, non dico che sia tutto da buttare
del sogno americano: la debolezza degli europei è che pensano sempre che sia
qualcun altro a dover risolvere i loro problemi, lo stato, il
sindacato...Mentre negli Stati Uniti si insegna ai bambini fin da piccoli ad
essere responsabili delle proprie azioni e, in definitiva, del proprio futuro".
Perché però il 'sogno europeo' sia davvero vincente, e possa costituire la base
per un futura convivenza pacifica nel mondo, istanza ultima ma fondamentale del
modello, ha aggiunto Rifkin, bisogna anche prenderne coscienza, difenderlo,
sostenerlo. "Il problema è che se gli americani hanno un complesso di
superiorità - ha scherzato l'economista - gli europei hanno un complesso
d'inferiorità. E invece con l'Unione Europea hanno dato vita a una grande
unione di stati, e lo hanno fatto in pochissimo tempo. Quello europeo è il più
grande mercato mondiale, non lo sono gli Stati Uniti e non lo è neanche la Cina. La forza dell'Europa si riflette nella forza dell'euro, come la debolezza degli Stati
Uniti si riflette nella debolezza del dollaro".
Quindi bisogna essere ottimisti, ha concluso, se si vogliono raggiungere
risultati: "Quando un americano perde, dice 'domani ti faccio vedere io'.
Quando un europeo perde tende a pensare che domani andrà peggio. Il sogno
americano sta morendo. Il sogno europeo è ancora vivo: non fatelo morire".
(15 novembre 2005) - Da http://www.repubblica.it/